L’accordo da 2 milioni Ice-Amazon può rappresentare un trampolino di lancio all’export delle Pmi. Ma servono anche strategie in grado di mettere a sistema l’innovazione del settore. Evitando che la digital transformation sia un’iniziativa lasciata al singolo imprenditore 03 Giu 2019

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Paolo Manfredi Confartigianato

Per spingere il made in Italy con l’ecommerce non bastano più le banalità. Come quella di dire che i benefici dell’e-commerce per le imprese sono enormi. O che una parte sempre più grande delle transazioni commerciali delle imprese passeranno dalla Rete.

Il problema è che il sistema delle aziende italiane sembra aver attinto alla quasi totalità di imprenditori che autonomamente erano in grado di digitalizzare le proprie attività andandosi a pescare soluzioni e partner e utilizzando alla bisogna gli strumenti di incentivo offerti dalle politiche pubbliche.

Oggi il costo marginale per raggiungere nuove imprese è diventato molto alto e il tasso di trasformazione digitale rischia di rallentare perché è troppo legato alle trasformazioni strutturali dell’impresa, in primis il passaggio generazionale, che accadono in tempi e modalità non compatibili con le esigenze del sistema Paese, che sono quelle di digitalizzare le imprese italiane al ritmo di decine di migliaia ogni anno.

Serve dunque altro e serve velocemente. Un esempio di cosa serve è arrivato di recente da un accordo tra ICE Agenzia e Amazon.

Accordo Governo-Amazon per le pmi

E’ successo infatti che il Governo ha pensato di spingere l’e-commerce per le Pmi italiane grazie a un accordo con Amazon. Lo scorso 7 maggio a Milano l’ICE, Agenzia che ha la delega dell’esecutivo al sostegno del nostro export, ha annunciato un accordo del valore di 2 milioni di euro con la società guidata da Jeff Bezos per sostenere attraverso un communication boost l’approdo all’e-commerce attraverso la piattaforma di Seattle di un numero corposo di micro e piccole imprese.

Scrive ICE nel suo comunicato stampa: “Amazon e ICE Agenzia supporteranno almeno 600 nuove aziende, principalmente piccole e medie imprese con sede legale in Italia e marchi che rispettano i requisiti del Made in Italy, che saranno inserite all’interno della vetrina Made in Italy di Amazon. La collaborazione aiuterà queste nuove imprese ad avere visibilità sui loro oltre 12.000 nuovi prodotti disponibili su diversi siti globali di Amazon, tra cui Amazon.co.uk, Amazon.de, Amazon.fr, Amazon.es e Amazon.com”. https://mediasanonline.com

E-commerce per le Pmi, cosa prevede l’accordo

Ancora, “le aziende interessate riceveranno, inoltre, supporto attraverso eventi di formazione offline (eventi, road show) e online (webinar) guidati dalla presenza di esperti di Amazon. Inoltre, Amazon fornirà l’accesso a materiali consultabili online su come sviluppare al meglio il percorso di vendita online”.

L’intento è certamente lodevole tanto per l’importanza in generale di una presenza online delle micro e piccole imprese italiane, quanto perché le componenti soft della trasformazione digitale delle imprese italiane hanno paradossalmente ricevuto meno attenzione di quelle hard a livello di politiche industriali e di incentivi. Impresa 4.0 ha meritoriamente sostenuto la digitalizzazione dei processi produttivi del nostro manifatturiero, ma quello che veniva dopo la produzione è stato lasciato eccessivamente all’auto organizzazione delle imprese, alla loro curiosità e capacità personale. Come risultato di questo approccio, l’e-commerce in Italia cresce ma troppo lentamente.

Digitale e Pmi, lo stato dell’arte

“Secondo i dati dell’Ufficio Studi di Confartigianato che sono confluiti nel rapporto E-commerce in Italia 2019 della Casaleggio Associati ‘In Italia le piccole imprese che vendono online nel 2018 sono aumentate del 2%, raggiungendo quota 9%. La media europea è del 15%, ma il divario è in diminuzione. Le imprese più propense a vendere online appartengono soprattutto al settore Servizi (14%), Manifatturiero (4%) e Costruzioni (3%)”.

Il 72% delle piccole imprese attive sull’e-commerce vende dal proprio sito, il 67% da marketplace e intermediari con un aumento del 10% rispetto allo scorso anno.

Confartigianato ha effettuato una survey su un panel di 400 piccole imprese a vocazione artigianale. Il 12% delle imprese è attivo sul web e vende online, il 72% è attivo sul web ma non vende online e il 16% non pratica nessuna attività in rete.

Le imprese attive nell’e-commerce sono più strutturate rispetto alle altre e hanno una dimensione media di 6.5 addetti, 0,7 in più di quelle attive sul web con sito e social network ma che non vendono online e 1,7 in più delle non attive sul web.

Anche il titolo di studio degli imprenditori influisce sulle vendite online: tra chi vende il 97,9% ha titoli di studio medio-alti.

Rispetto al fatturato, il 55% delle imprese che vende online rileva un aumento nella produzione, fino al 6% in più della media. Anche chi non vende direttamente ma è presente in rete gode di miglioramenti nelle performance: il 49% delle imprese infatti afferma di aver visto crescere il proprio fatturato”.

Micro e piccole imprese, ecco le strategie su cui puntare

Serve altro dicevo, innanzitutto serve una strategia di inclusione che parta da quello che c’è, che è moltissimo (il Made in Italy) anche se disordinato.

Serve poi una seria e fattiva indulgenza rispetto al fatto che molte micro e piccole imprese non hanno gli automatismi per gestire dei processi digitali a portata di mano e da questo sono derivati molti dei fallimenti del passato. C’era la piattaforma, c’era l’offerta, si era fatto un bel road show ma il recruiting languiva per mesi perché quell’artigiano che faceva quei gioielli così belli, che si sarebbero potuti vendere così bene, non mandava mai le fotografie e i prezzi o non rispondeva alle richieste di informazione. Era un pessimo imprenditore e una brutta persona che meritava di scomparire nel trapassato analogico? Ma no, era più che altro impegnato a fare mille parti in commedia e non aveva il pallino digitale che magari baciava il suo vicino di bottega. Quanti progetti ho visto nascere e morire per queste ragioni.

Bastano i road show, i webinar e le informazioni? Probabilmente no. Bisogna ripensare in profondità le modalità di vendita dell’innovazione digitale alle imprese che sino ad oggi sono state alla finestra, forse anche immaginando di sostituirsi a loro nella gestione di alcuni processi e di alcuni servizi. Bisogna coinvolgere attivamente i cosiddetti nativi digitali, gli studenti e le scuole per offrire alle imprese competenze anche grazie all’opera fondamentale di intermediazione svolta dalle associazioni di rappresentanza.

L’artigiano che non manda le fotografie si concentri pure a fare i suoi gioielli, che alle fotografie da mandare alla piattaforma di e-commerce e a rispondere alle richieste di informazione ci penserà un giovane smanettone che lavora per più artigiani, magari sotto l’ombrello di un’associazione che ha fatto il matching. È un processo lungo e costoso? Sicuramente, ma i costi dell’inazione sono sicuramente maggiori e soprattutto abbiamo bisogno di strumenti straordinari per gestire sfide straordinarie.

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